
Monselice
Comuni
Piazza San Marco, 1
Monselice (PD) – 35043
Luogo di timbratura del Lasciapassare incluso nel kit “Viaggio nel tempo”:
Ufficio turistico Monselice




Cenni Storici
Situato in posizione strategica tra Padova e Ferrara, nel 602 il bizantino castrum Mons Silicis cade nelle mani del re longobardo Agilulfo, come racconta Paolo Diacono nella sua Historia Longobardorum, prima fonte scritta sull’abitato.
Nel 1237 accoglie il tiranno Ezzelino III da Romano, vicario dell’Imperatore Federico II di Svevia in terra veneta, il qual vi comanda ingenti lavori di fortificazione e ne fa base di violente campagne militari contro Padova, Este e i castelli delle terre vicine. Dal 1338 al 1405 è retto dai Carraresi, signori di Padova, i quali consolidano e completano il cantiere ezzeliniano: una cerchia esterna di mura merlate inframmezzate da robuste torri racchiudevano un castello in piano e quattro anelli concentrici sul colle sino all’imponente mastio sulla cima. Il lungo e prospero periodo veneziano segna l’abbandono della vocazione militare a favore dello sviluppo agricolo, industriale (estrazione, filatura) e commerciale.
Itinerario Urbano
Arrivando in città da nord si incontrano le mura cittadine laddove s’apriva Porta Sant’Antonio o Padova. La cinta prosegue ininterrotta a destra sino alla breccia corrispondente alla scomparsa Porta della Giudecca, ricordo della presenza ebraica in città, ed ancora sino alla Torre Civica o dell’Orologio, accesso diretto a piazza Mazzini. Il suggestivo tratto turrito evidenzia una tipica conformazione carrarese a conci di trachite inframmezzati da corsature in mattoni. Da questa prospettiva si ha una chiara visione dell’antica struttura difensiva urbana, solo in parte danneggiata dall’intensa attività estrattiva responsabile della trasformazione del profilo del monte soprattutto nel fianco nordoccidentale. Attraversata piazza Mazzini si giunge al complesso monumentale di San Paolo, antico cuore religioso della città, e al Castello, sito ai piedi del pendio, fusione di strutture edificate in momenti successivi: la massiccia torre d’Ezzelino (XIII sec.), il castelletto e la casa romanica (XI-XII secolo), l’addizione dei Marcello (XV sec.). Salendo lungo via del Santuario incontriamo a sinistra Villa Nani, splendido edifico tardorinascimentale e, poco oltre a destra, la Pieve di Santa Giustina, eretta nel 1256 in stile tardo romanico padovano.
Sei cappelle votive conducono al complesso monumentale di Villa Duodo, opera degli architetti Scamozzi (1590) e Tirali (1720). Nel 1605 i Duodo ottengono il privilegio dell’indulgenza plenaria ai pellegrini in visita alle Sette Chiesette, ora parificate alle sette basiliche di Roma – Romanis basilicis pares – come recita l’iscrizione sulla Porta Romana, ingresso all’area sacra. In luogo dell’antico castello di San Giorgio sorge oggi l’oratorio di San Giorgio o dei Santi, custode delle spoglie di venticinque santi martiri traslati in tempi diversi dalle catacombe romane.
La scalinata a lato della monumentale esedra dedicata a San Francesco d’Assisi conduce all’imponente mastio federiciano in cima al colle, cinto da brani di stratificate fortificazioni risalenti, nelle parti più antiche, all’epoca longobarda. Ridiscesi alla Pieve di Santa Giustina, imboccando vicolo Scalone, si giunge alla chiesa di San Martino, fondata nell’XI secolo e ricostruita nel ‘700. A ritroso lungo via Tassello e Santarello si arriva al varco dell’ex Porta Vallesella. Lungo via Cadorna, o rientrando su via Carboni e del Pellegino, parallelamente all’ormai scomparso perimetro meridionale delle mura, si giunge in piazza San Marco. Infine un integro tratto del perimetro murario occidentale, visibile dall’interno percorrendo vicolo delle Mura, collega la torre di piazza Ossicella a Torre dell’Orologio, riportandoci in piazza Mazzini.
Luoghi d'interesse
L’edificio, che oggi ospita la Biblioteca comunale e precedentemente era adibito a sala cinematografica, è denominato San Biagio perchè già nel XV secolo qui sorgeva un oratorio intitolato a questo santo. A partire dal 1618 divenne la sede della Confraternita dei Battuti Bianchi. Una pregevole tela dipinta nella seconda metà del ‘600 da Joseph Heintz, raffigurante la processione dei Battuti, è conservata nel Duomo cittadino.
La chiesa di San Paolo, uno degli edifici di culto più antichi della città (VII-XVII sec.), dal 2017 è sede del Museo Civico. All’interno si intrecciano due percorsi di visita: quello museale, con reperti archeologici preromani e romani rinvenuti nel territorio monselicense, e la chiesa stessa, con le sue stratificazioni, tra cui la suggestiva cripta con raro affresco raffigurante san Francesco d’Assisi (XIII sec.).
Detta anche dell’Orologio, è il caposaldo di Monselice. Fu fatta erigere nel 1244 da Ezzelino da Romano, unitamente ad altre opere di difesa e fortificazione, su disposizione dell’imperatore Federico II di Svevia, presente a Monselice nel 1239. Utilizzata come alloggiamento per le milizie che controllavano l’accesso alla città dal fiume, si caratterizza per la muratura a corsi di conci di trachite alternati a mattoni. Nel XVI secolo fu aggiunta una cella sommitale per collocarvi la campana civica, tra le più antiche d’Europa.
Monselice è classificata come città murata del Veneto. Ancora oggi è possibile vedere ampi tratti delle antiche fortificazioni che giunsero a contare ben cinque cerchie murarie. Dal Mastio Federiciano, sulla sommità del colle, discendono a valle fino a lambire le rive del fiume. In prossimità del Campo della Fiera, fino al XIX secolo, vi era l’accesso alla Città da Porta Padova o di Sant’Antonio, mentre oggi è ancora visibile la Porta Giudecca.
Costruita intorno al 1556 per volere di Francesco Pisani de Zuanne, patrizio veneziano, quale dimora di sosta e ultimo approdo fluviale prima di proseguire via terra il suo viaggio verso Montagnana, dove la famiglia risiedeva nei periodi estivi. Di impianto tipicamente palladiano, conserva affreschi attribuiti a Benedetto Caliari.
L’edificio, che prende il nome dalla nobile famiglia degli Emo, fu costruito tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo su preesistenti manufatti medievali. Divenne dapprima ospedale civile, successivamente scuola pubblica e oggi è di proprietà comunale. Dopo l’attento restauro avvenuto nel 1997 ospita uffici pubblici.
Le origini di questa oasi verde si devono al padovano Giovanni Battista Cromer che, tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, volle dotare la propria villa di un ampio parco all’inglese con laghetto, fossati, ghiacciaia, abbellito di pergolati, nicchie e statue, tra queste l’Esculapio di Antonio Canova, ora conservata ai Musei Civici di Padova. Dal 1990 è parco cittadino.
Sorto verso la metà del Quattrocento quale Monte di Pietà cittadino, inglobando un tratto delle più antiche mura medievali. Nel XVII secolo venne aggiunta la scenografica loggia da cui il palazzo prende il nome. L’edificio ha sempre avuto destinazione di uso pubblico ospitando, in epoche diverse, il Gabinetto di Lettura, la Biblioteca Comunale e, dal 2014, gli uffici Cultura-Turismo e l’Ufficio Turistico.
Sorge in epoca Carrarese (XIV secolo) a completamento, come altre dodici torri, del perimetro più a valle della cinta muraria medievale. La torre prende il nome dall’antistante piazza, un tempo sede del mercato delle erbe, intitolata a Opsicella, leggendario fondatore della Città. Di proprietà comunale è adibita a sede espositiva. Un percorso suggestivo a ridosso delle antiche mura medievali unisce questa torretta con la Torre Civica in Piazza Mazzini.
Questo edificio monumentale ha sostituito l’antica pescheria cinquecentesca che era collocata oltre il ponte sul canale di Monselice. A partire dall’ultimo decennio del XIX secolo fino al secondo decennio del XX secolo è stata sede del mercato settimanale del pesce. Al centro del cortile in trachite è collocato un pozzo seicentesco in pietra d’Istria, che originariamente abbelliva la Piazza Maggiore, oggi Piazza Mazzini.
Edificata alla fine del Duecento per ospitare l’ordine dei Frati Predicatori, meglio conosciuti come Domenicani. Rispecchia il classico stile di costruzione minoritica a croce latina. Nel XVIII secolo furono aggiunte le navate laterali mentre il campanile risale al XV secolo. Dopo la soppressione napoleonica e l’abbandono da parte dei Domenicani, divenne di proprietà privata fino alla fine del XIX secolo quando fu acquisita dal Comune.
L’edificio attuale è il risultato dell’unione di tre edifici medievali di proprietà della collegiata di Santa Giustina. L’opera di restauro risale al XVII secolo, quando la facoltosa famiglia Tassello lo trasformò in propria residenza cittadina. Presenta un ampio salone centrale e un brolo sul versante del colle. L’ingresso è sulla suggestiva via Santo Stefano Superiore che unisce il Castello con la Chiesa di San Martino. Divenuto di proprietà comunale, ospitò in passato le locali prigioni. Dopo un accurato restauro, l’edificio, a partire dal 1999, è adibito a ostello.
Luoghi d'interesse
La Biblioteca di Monselice dispone di oltre 40.000 volumi: la parte moderna si trova presso la sede di via San Biagio mentre la parte più consistente costituisce il Fondo librario antico al Centro di Documentazione e Conservazione della storia monselicense collocato presso la sede Peem in zona industriale. Raccoglie l’eredità del Gabinetto di Lettura istituito nel 1857 e successivamente implementato con versamenti di biblioteche dei conventi locali e di mecenati culturali. Dapprima ebbe come sede il Palazzetto Regazzoni di Piazza Mazzini, poi venne trasferita nel Palazzo Pretorio di via del Santuario e nel 1939, anno in cui il Gabinetto di Lettura si trasformò in Biblioteca Civica, venne allogata nel Palazzo della Loggetta. Qui rimase fino al 2003, quando venne restaurata la Chiesa di San Biagio (risalente al XVII secolo), per collocarvi la nuova biblioteca comunale denominata “San Biagio”. Oggi dispone di mezzi moderni informatici e di una ampia sala di lettura, nonché di una fornita emeroteca. Il sistema di prestito è gestito dalla Rete Bibliotecaria della Provincia di Padova. La Biblioteca rappresenta la maggiore istituzione della vita culturale della città: essa è sede della segreteria del prestigioso Premio Città di Monselice per la Traduzione, presieduto da Carlo Folena e del Premio Brunacci per la Storia veneta presieduto da Antonio Rigon. Inoltre la biblioteca è promotrice di laboratori didattici a tema di invito alla lettura rivolto agli studenti di ogni ordine e grado, di rassegne librarie e incontri con gli autori, tra cui la fortunata rassegna “Monselice Scrive”.
STORIA
Dalle visite pastorali si ricava che, almeno dal Quattrocento, esisteva a Monselice nella Parrocchia di San Paolo un oratorio dedicato a San Biagio nell’omonimo vicolo che ora porta alla biblioteca e al monastero di clausura della carmelitane scalze. Anticamente il vicolo portava alla chiesa duecentesca di San Francesco abbattuta nel 1700. Nel 1316 venne costituita e approvata dalle competenti autorità cittadine la Confraternita dei Battuti dei servi della passione. Nel 1616 i ‘battuti’ erano circa 40. I documenti riportano che nel 1618 venne consacrata la Chiesa “de battuti bianchi, selegiata a quadri con bel soffità dipinta; è lunga 40 e larga 16, ha due altari e calici et una campana, officiata da un frate vicino di San Francesco”. La chiesa intitolata a San Biagio aveva due piani: il piano terra era riservato alla chiesa mentre il primo piano era utilizzato per riunioni dei ‘battuti’ rivestiti del loro ‘sacco bianco’.
La chiesa, nei secoli passati, fu gestita da varie congregazioni finché, alla fine del XIX secolo, passò in esclusivo possesso del duomo di Santa Giustina di Monselice. Da allora, fino alla Seconda Guerra Mondiale, fu usata solo per la festa di San Biagio o per eventi particolari, anche perché era sprovvista di arredi sacri.
Nel 1947 Monsignor Cerato, per far posto al Duomo Nuovo, fece abbattere i fabbricati del patronato San Sabino dove era presente la sala del cinema parrocchiale e individuò in questa chiesa il luogo ove postarla. Il nuovo cinema fu sistemato al piano terra della chiesa e, con modesti lavori relativi ai servizi e agli accessi richiesti dalla legge per le sale pubbliche, si ottenne una discreta sala arredata con tutto ciò che c’era in quella precedente del patronato. Il nuovo cinema fu chiamato “Italia”. Nei lavori di trasformazione furono aperte alcune porte di sicurezza e fu chiuso il portale della chiesa contornato da conci di trachite, aventi in quella chiave simboli religiosi. Il cinema Italia fu attivo una dozzina d’anni e fu poi traslocato nella cripta del duomo nuovo (con arredi annessi). Infine il cinema venne ricavato nell’ex Chiesa San Luigi in via Matteo Carboni, dove si trova anche ai giorni nostri con il nome di cinema ‘Corallo’. Per finanziare il nuovo duomo mons. Cerato vendette la vecchia chiesa e il nuovo proprietario vi installò un laboratorio di abbigliamento. Verso la metà degli anni ’80 la vecchia chiesa fu chiusa e rivenduta. Il nuovo proprietario, a sua volta, la rivendette al Comune di Monselice.
L’Amministrazione Comunale, dopo alcuni anni di studi e stanziamenti di fondi, iniziò il restauro della facciata e del tetto per farne un centro culturale. Mentre procedevano i lavori, furono ricollocati alcuni conci di trachite del portale, tolti anni prima durante la trasformazione in cinema. I vecchi materiali furono posti in opera nel ripristino del foro d’entrata al piano terra. Nel luglio 2003 venne inaugurata la nuova Biblioteca Comunale.
Una tela conservata nel Duomo di Monselice, realizzata da Joseph Heintz il giovane (1600-1678), raffigura la Madonna in gloria con San Biagio e Sant’Antonio da Padova nell’atto di presentare il gonfalone con lo stemma dei Battuti. In basso si nota la teoria di penitenti che si accingono a salire il colle e una sequenza di case porticate ricalca quasi pedissequamente la situazione odierna. Si nota poi l’imbocco della via laterale e, subito dopo, un’abitazione a ridosso della chiesa di San Paolo: la chiesa era orientata in senso perpendicolare rispetto all’attuale, era ad una sola navata e la facciata, a capanna con rosone, dava sullo slargo antistante. Di fronte al sacro complesso era presente un modesto edificio che avrebbe dovuto coprire, in prospettiva, il palazzetto detto ‘Monte di Pietà’.
Lo storico Mazzarolli affermava che la chiesa vantava il privilegio di essere indipendente da parroci e che “da essa partiva il Venerdì Santo, la processione serale con Gonfalone della Vergine Addolorata che lì si custodiva”. In realtà tale consuetudine si confaceva perfettamente allo spirito degli statuti dei ‘disciplinati’ i quali, almeno nel Quattrocento, partecipavano anch’essi alle processioni cittadine solenni, al pari delle altre scuole. La loro processione aveva caratteristiche diverse: si presentava come un semplice corteo di soci al seguito del guardiano che, senza presenza di chierici o frati, andavano flagellandosi per le vie della città.
La chiesa di San Paolo che sorge ai piedi del declivio occidentale del Colle della Rocca, nel cuore del centro storico di Monselice, è stata oggetto, dal 1985 in poi e a varie riprese, di indagini archeologiche che si sono sviluppate sia all’interno sia all’esterno dell’edificio. Tali interventi hanno messo in luce la complessità del palinsesto architettonico ed evidenziato come la cripta risalente alla metà del XII secolo, fosse stata edificata sfruttando le murature perimetrali di un edificio più antico. L’indagine archeologica interna all’edificio fu completata dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e del Paesaggio del Veneto Orientale alla fine degli anni ’90 del Novecento, allorchè si concretizzò la volontà dell’Amministrazione Comunale di integrare l’edificio del San Paolo in un circuito museale della città. L’indagine della Soprintendenza rilevò che le fondazioni del primo edificio tagliavano sia sedimenti antropici contenenti materiale ceramico protostorico e altomedievale sia sedimenti di deposito naturale e di colluvio. Il materiale ceramico parla di una frequentazione diretta o indiretta del sito almeno dalla fine dell’età del Bronzo. I reperti più recenti indicano una datazione intorno al VII secolo. Probabilmente risale a questo periodo la costruzione della piccola chiesa altomedievale a navata unica larga circa 8 metri e lunga circa 8,50 metri con atrio profondo circa 3.30 metri e terminante in tre absidi. Già verso la fine dell’XI secolo la chiesa viene ampliata, addirittura raddoppiata nel senso della lunghezza, e il piano pavimentale viene rialzato di quota. Un ulteriore ampliamento verso nord avviene tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo quando viene aggiunta anche una navata laterale absidata. Intorno alla metà del XIII secolo viene realizzata la cripta di S. Sabino: l’intervento comporta una consistente sopraelevazione del piano pavimentale orientale sovrastante la cripta, con la creazione di un ampio presbiterio rialzato.
La visita pastorale del vescovo Barozzi nel 1489 restituisce una descrizione dettagliata dello stato della chiesa. I piani di calpestio della chiesa erano tre: uno inferiore, che coincideva con la zona riservata alle donne (zona d’ingresso); da questo piano si accedeva per “schalas lapideas sinistras” alla navata laterale e alla zona riservata al coro dei chierici e agli uomini; dietro al coro, sopraelevato di tre gradini, vi era il presbiterio; coro e presbiterio risultavano volumetricamente e architettonicamente distinti dal resto della chiesa. La chiesa è divisa in due navate, una «media» e l’altra «settentrionale». È inoltre divisa trasversalmente da una parete, costruita parte in mattoni e parte in pietra, sormontata da colonne che terminano “cum lapidibus quadrangulis supra columnas iacentibus, alta piedi quindici (m. 5,39 circa). La parete separa la zona riservata agli uomini da quella riservata alle donne. Il coro dei chierici è al centro dell’aula: sotto il suo pavimento è situata la cripta volta, tripartita, larga passi due (m. 2,28 circa), lunga quattro (m. 4,57 circa), alta, fino ad initia fornicis, passi uno (m. 1,14)” il cui spazio è suddiviso (frontalmente) in tre arcate: nella centrale è collocato un altare non consacrato, rivolto verso oriente. Precisa nuovamente l’ubicazione del coro: sopra la cripta sono collocati il coro e il “mascolorum locus quemadmodum superius dictum fuit” (non esiste quindi dubbio alcuno sulla ubicazione della zona riservata agli uomini). La navata centrale ha due altari: uno rivolto a oriente, consacrato, discosto dalla parete piedi cinque (m. 1,77 circa): si tratta dell’altare maggiore; l’altro, non consacrato, aderisce alla parete australe (parete destra, per chi guarda l’altare): vi è conservato il Corpo di Cristo. Un altro altare, non consacrato, è nella navata laterale, in una piccola abside, ed è dedicato a san Giovanni Battista. La navata centrale riceve la luce da una finestra aperta nella parete di fondo, parete orientali, dietro quindi l’altare maggiore e da altre cinque aperte nella parete destra, australi.
La navata laterale riceveva luce da tre finestre. Per quanto concerne le strutture architettoniche le due navate sono divise da quattro arcate sostenute da pilastri di mattoni. Il tetto della navata centrale è a volta, intonacata di bianco, ripartita in due grandi arcate, probabilmente a botte. Il pavimento della chiesa è costituito in parte da pietre sepolcrali, in parte da laterizi, in parte inesistente (terra battuta).
In epoca compresa tra il 1489 e il 1602 fu aggiunta l’attuale navata sinistra allo scopo di dare spazio e respiro all’intero edificio. In realtà non si trattò della costruzione di una navata vera e propria, bensì di tre cappelle intercomunicanti, accogliendo, in parte, i suggerimenti fatti durante la visita pastorale del Barozzi. Secondo le indicazioni del vescovo, si sarebbe dovuto trasformare la navata laterale in quattro cappelle: si pensò, invece, di dilatarne lo spazio con una costruzione ex novo sul fianco sinistro (l’attuale navata laterale). Nella seconda metà del XVI secolo, dopo il 1571, lo spazio antistante alla cripta venne chiuso e adibito a sepoltura: le sovrastanti strutture vennero pertanto allineate alla “schalas lapideas sinistras” che dal piano inferiore della chiesa (zona riservata alle donne) conduceva al piano superiore (zona riservata agli uomini e ai chierici). I lavori, con tutta probabilità, fecero seguito all’ordinanza del vescovo di Padova, Nicolo Ormanetto, che durante la visita pastorale del 1571 dispose che in chiesa fossero “imbucati tutti li busi..”. Nella prima metà del XVIII secolo il progetto di sopralzo venne riesumato e prevedeva l’abbattimento della chiesa e la sua ricostruzione su basi nuove. Incontrò, però, inaspettatamente, quando già erano avviate le pratiche per l’inizio dei lavori, la netta e tenace opposizione dei deputati della Comunità. Il contrasto diede luogo a una vertenza giudiziaria che si protrasse fino a tutto il 1708 e parte del 1709 e si concluse con un compromesso. Il progetto fu ritirato e sostituito con uno intermedio che, rispettando le strutture esistenti in piano e i muri perimetrali fino all’altezza delle volte dei sotterranei, al cui livello fu portata tutta la pavimentazione della chiesa, limitò l’ampliamento alla reimpostazione architettonica del presbiterio e alla correzione in verticale dei volumi. Il motivo dell’accanita opposizione dei deputati va ricercato nella volontà di preservare un edificio cittadino ritenuto antichissimo, che custodiva venerande memorie di storia patria e, soprattutto, le vestigia del tempio di Giove ricordato anche nel 1489 dal segretario del vescovo che, citando il dato della tradizione sulle origini pagane della chiesa di S. Paolo, si rifà a una iscrizione incisa nel suo interno, trascritta, un cinquantennio più tardi, dallo Scardeone, andata, poi, perduta. Le vestigia del tempio, stando a quanto risulta dagli atti processuali, erano ancora visibili nella prima metà del XVIII secolo: i fautori della ricostruzione della chiesa dalle fondamenta non ne negavano l’esistenza e il valore storico ma invocavano lo stato di necessità a favore del culto e della sicurezza dei fedeli, esposti al pericolo di crolli improvvisi a causa delle strutture ormai fatiscenti.
A partire dalla seconda metà del XV secolo, l’accesso alla chiesa era diventato anomalo: gli ingressi dalla plathea antistante (quello principale della facciata e quello secondario della navata) erano stati chiusi e l’accesso in chiesa limitato alle due porte laterali.
Nel XVIII secolo, unificata la pavimentazione della chiesa al livello della navata laterale, fu costruita una scalinata che dal piano della strada portava in chiesa. Il nuovo ingresso fu abbellito con il portale di stile classico, sormontato da un timpano e sostenuto, ai lati, da due mezzi pilastri.
Nel 1470 con la chiusura degli accessi centrali era stata costruita la loggia Bolani. Tale loggia fu demolita nell’Ottocento e, al suo posto, nel 1836 fu addossato alla chiesa il palazzo municipale, demolito a sua volta nel 1965/66.
Nel 2000 grazie a un cospicuo finanziamento pubblico nazionale destinato al recupero della chiesa di San Paolo, già di proprietà del Comune, si effettuarono i lavori di restauro vincolando il luogo con destinazione a Museo della Città.
Terminati i restauri nel 2003, è stato possibile procedere alla progettazione del museo, con due direttive: raccogliere i reperti antichi della città e presentare lo stesso edificio come percorso museale. Dal 2017 è visitabile nell’allestimento del primo stralcio di esposizione. Il suo completamento prevede l’allestimento della sala “Buonamorte” annessa alla chiesa. Il museo oggi si snoda nella parte della cripta di San Francesco, nel piano terra e nelle adiacenze della sagrestia e dell’altare maggiore ed è dedicato alla storia monselicense dal Neolitico al Medioevo.
E’ altresì possibile conoscere l’area degli scavi dentro e fuori la chiesa, compiuti tra la metà degli anni Ottanta e la fine del secolo scorso. L’allestimento ha tenuto conto di una descrizione accurata con pannelli specifici, anche per mettere in luce le varie fasi di costruzione della San Paolo. Si valorizza l’edificio e nel contempo si raccontano i settemila anni di storia di Monselice. Il museo è gestito in affidamento ad una Associazione culturale mediante una selezione di pervenute manifestazioni d’intenti. Per maggiori informazioni e approfondimenti visitare il sito ufficiale del museo.
Superba superstite della poderosa cinta muraria medioevale, detta anche torre dell’orologio, è il fulcro del centro storico. Costruita nel 1244 quale allogamento per le milizie che controllavano l’accesso dal fiume: questo almeno fino al 1825 quando è stata distrutta la Porta Nave che l’affiancava. La parte sommitale della torre è stata aggiunta nel 1504 per far posto alla cella campanaria che ancora oggi ospita una rara campana fusa nelle Fiandre nel 1482 recante nella fusione bronzea la scritta “Martino è il mio nome; il mio suono è così sonoro da essere inteso – voglia Iddio conservarlo – dovunque”. La campana nei secoli ha servito la collettività quale richiamo per la convocazione dei Consiglio Municipale, per l’allarme incendi e per avvisare la popolazione in eventi straordinari; ultimo in ordine temporale è stato il sorvolo in elicottero dell’insigne reliquia di sant’Antonio sopra la città a protezione durante la pandemia Covid19 il 13 giugno 2020 alle ore 12:15. Un pregevole orologio meccanico ottocentesco, a quotidiana carica manuale con contrappeso, scandisce le ore di “quarto in quarto”, come ha immortalato il poeta Giorgio Caproni in una sua celebre poesia. Ai piedi della torre vi è il caposaldo di città ed è affissa la lapide che ricorda la Resistenza. La torre è l’emblema della Contrada Torre che, con i colori bianco e rosso, partecipa alla Giostra della Rocca.
Numerose tracce della cinta muraria medievale testimoniano la presenza in passato di una cinta muraria completa. La maggior parte va da Porta Padova o Porta Sant’Antonio a Porta della Giudecca in Campo della Fiera; prosegue poi lungo il tratto parallelo al Canale di Monselice verso est e Via Argine Destro. Un ampio e suggestivo tratto si può ammirare anche dalla torre medievale di Piazza Ossicella seguendo le possenti mura di Vicolo delle Mura fino alla Torre Civica di Piazza Mazzini. La parte nord-est del Colle della Rocca è visibilmente cinta da mura. Infine l’evidente cerchia sommitale sulla sommità del Colle della Rocca con il Torrione ha fatto di Monselice una città murata nell’immaginario collettivo e suscita curiosità e attrazione turistica.
La fortificazione più antica risale all’età bizantina (VI sec.): si tratta di una cinta muraria che abbraccia circa tre ettari sulla sommità della Rocca. Tratti di mura sono ancora visibili in più punti. Queste mura furono utilizzate come strutture difensive per gli abitanti di Monselice per un lungo periodo. Probabilmente allo stesso periodo risalgono l’edificazione della Chiesa di San Paolo alla base del colle e quella di Santa Giustina in cima alla Rocca. Monselice fu fortificata dai Bizantini nel VI secolo per resistere ai Longobardi che erano entrati in Italia. Tra il 601 e il 602 i Longobardi occuparono Padova e Monselice: la prima fu declassata dal rango di città a vantaggio di Monselice che divenne capoluogo del circondario e caposaldo diretto dai Longobardi contro i territori vicini rimasti in mano bizantina. Le fortificazioni di Monselice subirono ben presto rimaneggiamenti e modifiche. Nonostante la pendenza del sito, lo spazio racchiuso tra le mura posto sulla sommità del colle della Rocca doveva essere in origine densamente popolato come indicherebbe la presenza di almeno tre edifici religiosi. Il primo documento che testimonia l’esistenza di una fortificazione del “castellum” risale all’anno 914: in quell’anno, infatti, un documento cita la Chiesa di S. Tommaso, che fu edificata “retro muris de ipso castello” (” dietro le mura del castello stesso”). L’accenno al muro è significativo, in relazione alla coeva documentazione dell’Italia padana, perché suggerisce l’esistenza di altre fortificazioni più consuete per l’epoca: palizzate, terrapieni, un canale di scolo e di difesa alla base del colle.
“Ho una caseta a Moncelese la qual me serve per far il viaggio de Montagnana senza niun mio utile“. Francesco Pisani, 1566
Potente e influente patrizio veneziano, Francesco Pisani de Zuanne (1514-1567) è un mecenate, amico di artisti e letterati, da Paolo Veronese a Giambattista Maganza, ad Alessandro Vittoria e Palladio.
Alla metà del XVI secolo, Francesco Pisani decise di costruirsi una dimora a Montagnana che fosse il centro propulsore delle sue attività; per questo assunse Andrea di Pietro della Gondola, ormai per tutti il Palladio, il maggior architetto del suo tempo e uno dei massimi della storia, il quale gli progettò la bella villa che sorge accanto al Castello di San Zeno.
Il viaggio dal Palazzo di famiglia dei Pisani a Venezia a Montagnana all’epoca era piuttosto lungo, si trattava di navigare lentamente lungo i corsi d’acqua, lungo il canale Brenta da Venezia a Padova, quindi lungo il canale Battaglia e il Bisatto fino a Monselice, e proseguire via via fino a Montagnana. Per questo probabilmente Francesco aveva pensato per sé e per il proprio seguito una “casetta” a Monselice, lungo il Canale Bisatto, una dimora, a metà strada tra Venezia e Montagnana, dove sostare per rifocillarsi e rilassarsi prima di affrontare la seconda parte del percorso. Monselice alla metà del ‘500 era già da tempo un sito importante, di riconosciuta posizione strategica, con un bel castello, il centro fortificato e protetto da mura, un borgo attivo e vivace con una pianura circostante fertile e con la preziosa cornice dei Colli Euganei, luoghi prediletti di caccia e di villeggiatura per i facoltosi nobili e patrizi veneziani.
La Villa Pisani di Monselice, di cui non abbiamo documentazione relativa all’autore del progetto, presenta una pianta rettangolare tripartita alla veneta. Le pareti esterne sono semplici e lineari con aperture rettangolari. Sopra l’architrave si erge il timpano triangolare dentro al quale due allegorie della Fama alata sostengono lo stemma araldico dei Pisani.
Fino al 1797 l’edificio rimase di proprietà della famiglia e solo nel 1807 passò al cavaliere dell’Ordine Italico Iseppo Treves.
Nei primi anni del Novecento fu proprietà del dottor Morrà che tra il 1951 e il 1952 la vendette all’Amministrazione Comunale. Qualche anno dopo il Comune acquistò le aree limitrofe di Villa Pisani per realizzare una scuola e pertanto anche i locali della villa furono adibiti a questa nuova funzione. In questo periodo l’assetto originale dell’edificio viene compromesso e vengono demolite alcune tramezzature.
Nel 1983, la villa fu sottoposta a un’accurata campagna di restauri che coinvolsero sia la struttura architettonica che l’apparato decorativo interno.
La decorazione ad affresco che impreziosisce l’interno è pregevole e attribuibile alla cerchia dei pittori attorno a Palladio. Gli schemi decorativi ricalcano quelli presenti nella grande villa palladiana Barbaro a Maser, affrescata da Paolo Veronese.
Gli affreschi rappresentano paesaggi con ruderi incorniciati da architetture dipinte. Il Salone al primo Piano presenta una decorazione qualitativamente superiore, soprattutto nei paesaggi accuratamente descritti anche con architetture contemporanee. Oltre all’episodio di Apollo e Dafne troviamo nei sovrapporte quattro figure femminili tra vasi e cariatidi a monocromo.
Attualmente la villa viene data in gestione dal Comune di Monselice, tramite bando, ad associazioni del territorio che ne garantiscono l’apertura al pubblico e vi svolgono attività ed eventi culturali.
Ca’ Emo si presenta ancora nelle forme in cui fu eretta tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento e rispecchia la villa raffigurata nella bella xilografia tratta da “Le cento Città d’Italia” datata al 1895. Fino al 1830 Ca’ Emo sembrava sorgere in cima ad un piccolo colle naturale, dando così più eleganza e prospettiva alla facciata. Infatti si ergeva sulla motta che in quell’anno fu modificata con il terrapieno, ancora oggi visibile. Tale intervento ha modificato la via d’accesso alla salita e la viabilità nella parte superiore rendendo immediatamente prospiciente la facciata della Villa sulla strada selciata di via San Martino. Sappiamo che nel Seicento la Villa apparteneva a Marin Faliero di Venezia, mentre nel Settecento è tra i possedimenti del nobile Andrea Bon. Nel primo ventennio del Settecento passa di proprietà a Zuane Emo che la vende nel 1740 alla nobile famiglia Codognola. In questi secoli il complesso signorile, con annesso giardino a terrazzamenti sulla parte posteriore verso la salita al Duomo di Santa Giustina, è adibito ad uso abitativo. Nel 1823 Girolamo Codognola vendette il bene ad Antonio Zanellato. Nel 1836 venne posta all’asta pubblica e si aggiudicò la proprietà Giacomo Marigo di Monselice. Quest’ultimo la vendette al Comune di Monselice nel 1866: divenne l’Ospedale Civile. Nel 1923, con la costruzione del nuovo ospedale, Ca’ Emo divenne Casa di Ricovero per anziani finché nel 1935 venne adibita a Scuola di Avviamento e successivamente diventò sede della sezione staccata del “Liceo Ferrari” di Este. Tale istituzione scolastica rimase fino ai primi anni ’80.
Dalla metà degli anni ’80 del Novecento iniziò un periodo di lento abbandono e declino, anche se alcune stanze erano occupate provvisoriamente da alcune associazioni locali. Nei primi anni ’90 l’Amministrazione Comunale cedette in comodato d’uso l’intero complesso al Parco Regionale dei Colli Euganei affinché provvedesse al suo restauro e destinasse l’edificio ad uso pubblico per l’espletamento delle attività dell’Ente. Il Parco, nel 1994, assunse l’impegno di restaurare il complesso architettonico. Tale restauro restituì alla città di Monselice un bell’esempio di villa veneta. Infatti l’impianto architettonico si presenta con una facciata di evidente influsso scamozziano specialmente nel portale d’ingresso e nella forometria del balcone che, tripartito, dà ampia luce al primo piano. Nel corso del restauro si è potuto mettere in luce parte della stratificazione che la destinazione d’uso ha segnato nell’edificio: in particolare la parte medioevale della muratura primitiva delle case preesistenti inglobate nella costruzione del Seicento e le curiose scritte ad affresco sopra alcune porte che collegano l’androne con le ampie sale, oggi adibite ad attività culturali e alla promozione turistica del Parco dei Colli Euganei.
Dal 2003 parte della villa è adibita a sede operativa del Gal Patavino, organismo europeo per la promozione e sviluppo del territorio. Dal 2022 vi trovano sede anche alcuni uffici comunali.
Il Parco Buzzaccarini è comunemente detto “Bosco dei Frati” non tanto per indicarne la proprietà bensì per il toponimo dell’area e della zona ed è quindi legato alla vicina villa Schiesari. Nell’arco di duecento anni ha conosciuto diverse denominazioni a seconda della proprietà: Cromer, Saggini, Buzzaccarini, Schiesari, per poi essere frazionato in diverse proprietà ed infine approdare a Parco Pubblico Comunale nel 1991. Le origini del parco sono dovute al padovano Giovanni Battista Cromer (1743-1809), uomo di vasta cultura e celebre avvocato del foro: volle dotare la sua villa di Monselice di un parco ubertoso e alla moda del tempo. Un parco all’inglese creando montagnole, un laghetto e dei fossati dove copiosa poteva scorrere l’acqua attinta dal vicino Canale di Monselice che attraversa la cosiddetta “Verta” compresa tra le mura del parco e l’argine del canale, oggi interamente urbanizzata. Grazie alla frequentazione dell’élite intellettuale veneta del suo tempo, Giovanni Battista Cromer si è guadagnato un posto di rilievo nella storia dell’arte neoclassica acquistando nel 1794 la statua dell’Esculapio scolpita da Antonio Canova. Questa insigne opera scultorea abbelliva fino al 1887 la nicchia antistante la montagnola della ghiacciaia, come si evince da una pittura dell’artista pistoiese Teodoro Matteini. Oggi la pregevole statua è conservata presso i Musei Civici agli Eremitani in Padova. Il vasto bosco era allestito su quasi due ettari, oggi ne rimane una sola porzione di poco meno di un ettaro, con tre montagnole rispettivamente abbellite da pergolato su esili colonnine, da gazebo in stile giapponese, purtroppo andati distrutti. Dopo il devastante “uragano” che ha distrutto gran parte del parco nel luglio del 1891, nella più alta montagnola venne realizzata la ghiacciaia: si tratta di un manufatto in laterizi, oggi fruibile ai visitatori. Un tratto delle mura, in prossimità dell’incrocio tra via Vo’ de’ Buffi e via San Bellino dove un tempo scorreva lo scolo San Giacomo, è “memoriale” delle tristemente note fucilazioni del periodo della dominazione austriaca. Nel 1968 il parco viene suddiviso e venduto a diversi proprietari. Negli anni ottanta del secolo scorso, nella speranza di ottenere la possibilità di edificare nuove abitazioni in un’ area in espansione, magari suffragata dal piano regolatore che il Comune di Monselice andava a progettare, la maggior parte del bosco comprendente gran parte del laghetto, risultava di proprietà dell’Azienda agricola Fratelli Soloni. A loro va il merito del primo riordino e pulizia del bosco storico. La Soprintendenza ai Beni Artistici e Paesaggistici non permise affatto nuove edificazioni entro il recinto delle mura storiche del parco. Nel 1990 l’Amministrazione comunale procedette all’acquisto del parco con l’intenzione di poter costruire la Casa di Riposo per anziani e parco pubblico. Su indicazione del Consiglio Comunale e sotto la pressione della popolazione che abbisognava di uno spazio verde da destinare a parco pubblico, l’Assessore Giannino Scanferla, nel primo lustro degli anni Novanta, si fece promotore di un riordino dell’area a ridosso delle mura, favorendone una nuova piantumazione. Contemporaneamente si affidava all’Associazione Auser la gestione del parco per attività ludico e sociali. Una parte dell’area venne concessa alla Provincia di Padova per assegnarla all’Istituto Agrario utile alle specifiche attività didattiche, che ne fruisce a tutt’oggi. Con bando pubblico, a partire dal 2001 il parco viene assegnato, in gestione convenzionata, ad associazioni locali. La storia del Parco si è arricchita di una pagina significativa e prestigiosa. È la pagina scritta il 15 giugno 2014 alla presenza di Dario Fo, Nobel per la Letteratura, che ha dedicato una secolare pianta del parco alla memoria della sua consorte Franca Rame, formidabile compagna di memorabili rappresentazioni teatrali. Nello stesso anno il parco si arricchisce di un’area dedicata a Giardino Botanico. Questo “polmone verde” della città, che consta di circa 4 ettari, è una salutare e preziosa area pubblica attrezzata per l’aggregazione sociale della popolazione e per l’accoglienza dei turisti di ogni età.
Sorto nella prima metà del Quattrocento quale Monte di Pietà cittadino, è un edificio che ha sempre avuto una destinazione di uso pubblico. Divenne dapprima sede del Gabinetto di Lettura, poi della Biblioteca Comunale fino al 2003 e dal 2014 è sede dell’Ufficio Turistico e degli uffici del settore Cultura e Turismo. Dispone di una sala pubblica e di sale di rappresentanza per il Comune di Monselice. Il nome lo si deve alla scenografica loggia aggiunta nel XVII secolo quale accesso alla sala del piano superiore aggiunta nello stesso periodo.
Il Palazzo fu costruito nel 1453 su un’area dove probabilmente sorgeva l’antico Foro inglobando un tratto delle antiche mura cittadine. Presenta le forme tipiche dell’architettura tardogotica, con bifore trilobate. Nel Seicento venne realizzato il secondo piano servito da una scala esterna a balaustre, protetta da una loggetta d’angolo sorretta da sei colonne d’ordine ionico. Sulla facciata di tramontana del fabbricato, che ospitò fino al 1934 il Monte di Pietà, si leggeva, prima che si iniziassero i lavori di riduzione ad Ufficio Postelegrafico e a Biblioteca comunale, in una striscia di pietra, la seguente iscrizione: SACER MONS PIETATIS MDCXXV. Questa data (1625) non si riferisce all’anno di fondazione bensì a quando venne aggiunta alla ‘camera dei pegni’ una sala al primo piano del Palazzo. In questa circostanza il luogo avrebbe assunto definitivamente il nome di Santo Monte di Pietà.
Verosimilmente il pianterreno era usato come locale per affari e contrattazioni, il piano superiore offriva invece una spaziosa sala adatta a ospitare riunioni e udienze ufficiali, data anche la prossimità del Palazzo Pretorio. Durante il XVI secolo il fabbricato venne prolungato, verso la Piazza, di una stanza per ciascuno dei piani. Il nuovo locale al pianterreno dovette servire a garantire una maggiore capienza, la stanza superiore ebbe lo scopo di dare migliore assetto alla Camera dei Pegni, togliendola dal provvisorio locale sotto la Torre di piazza. Ciò, secondo Carturan, è presumibilmente avvenuto nel 1573 circa.
Per risolvere il problema dell’accesso alla Camera dei Pegni si ideò la costruzione della Loggetta trovando, a quanto sembra, l’accordo con una ditta privata, forse quella della famiglia Brusco, la quale avrebbe dovuto ricavare sotto la nuova struttura qualche locale ad uso di negozio. La Loggia sopra le botteghe, in un primo tempo, fu lasciata scoperta o fu riparata dalle intemperie in modo provvisorio. La struttura risalirebbe al 1573: nel Registro dei Mandati degli anni dal 1559 al 1576 risulta che nel 1573 furono sostenute spese varie di falegname, muratore e pittore, per la costruzione della Loza grande.
Per la tradizione l’autore del concetto artistico, che ha ispirato l’architettura della parte superiore della Loggetta, fu il celebre architetto Vincenzo Scamozzi (1552-1616). In effetti proprio nel periodo della costruzione lo Scamozzi era a Monselice per eseguire le commissioni affidategli da Francesco Duodo. Intanto la Camera dei pegni aveva preso piede e andava sempre più affermandosi la necessità di nuovi locali per poter corrispondere non solo alle maggiori esigenze burocratiche ma anche a quelle dell’ammasso e deposito dei pegni. Nel 1625 la sala al primo piano del Palazzo fu dunque aggiunta alla Camera dei pegni, dividendola in opportune stanze, modificando le finestre e mettendola in diretta comunicazione con la Camera stessa. Il luogo assunse definitivamente il nome di Santo Monte di Pietà e, in omaggio a tale evento, fu murata nella facciata di tramontana, vicino alla scaletta d’accesso alla Loggetta, l’iscrizione citata in precedenza.
All’inizio del 1742 venne presentata la richiesta di ampliare la sede del Monte, richiesta accolta dal Doge ma in misure di moderatezza. Furono chiusi gli archi del pianterreno, si aprirono delle finestre, si divise la sala in vari reparti e si riattivò la scaletta d’accesso dal pianterreno al primo piano. L’istituto occupò così tutti e due i piani che costituivano il fabbricato in quel tempo, mantenendo l’ingresso attraverso la Loggetta. Nel corso dei lavori di riduzione dell’edificio, nel 1939, a Ufficio Postelegrafico, si scoprirono all’interno alcuni stemmi di Podestà e altre autorità dipinti sui muri, risalenti a prima del 1742. Uno recitava: G.N.C.P. 1727-28-29 e si riferiva al podestà Girolamo Natale Canal.
Il Palazzo Pretorio, demolito nel 1939, subì anche nel XVIII secolo consistenti restauri. L’ultimo di essi figura effettuato nel 1779 ma non aveva potuto rispondere a tutte le esigenze. Si pensò allora di lasciare nel vecchio Palazzo Civico le carceri e altri servizi secondari, trasferendo altrove gli Uffici Municipali. Per soddisfare questa necessità si procedette sul finire del Settecento alla costruzione, secondo il Carturan “infelice”, del secondo piano del Palazzo Ogivale. Per accedere ai nuovi locali adibiti a Uffici comunali si dovette innestare nella Loggetta scamozziana una scala. La residenza municipale rimase al secondo piano del fabbricato fino al novembre 1856, poi passò in un edificio che sorgeva dove ora c’è la fontana di Botta.
I locali della Loggetta, restati liberi, ospitarono subito gli Uffici del Monte di Pietà. I due piani sottostanti erano utilizzati come magazzini per il deposito dei pegni non preziosi, mentre quelli preziosi vennero sempre custoditi nelle casseforti collocate nell’Ufficio del cassiere. La stanza a pianterreno verso la Piazza venne destinata alle pubbliche aste del Monte. Il fabbricato, in cui nel 1934 a cura del Podestà erano state riaperte le bifore del primo piano e gli archi del pianterreno, nel 1939 venne restaurato e adattato, su progetto dell’Ingegner G.B. Rizzo, a Ufficio Postelegrafico al pianterreno, a Biblioteca Comunale al primo piano, a sala della Consulta (salvo due camerette per depositi dei libri della biblioteca) nel secondo piano. La biblioteca restò alla Loggetta fino al 2003. I locali restaurati nel 2016 ospitano ora l’ufficio turistico e l’ufficio culturale. Nel secondo piano si trova una piccola sala convegni.
L’edificio monumentale adibito al mercato settimanale del pesce è stato costruito nell’ultima decade del 1800 in sostituzione dell’antica pescheria che si trova oggi inglobata in abitazioni di pertinenza della Società Operaia, in prossimità del Ponte della Pescheria costruito nel 1559.
Il locale è oggi adibito a bar e ristorante ma fino ad un decennio fa si presentava come un’unica aula con tavolati in pietra e caditoie per lo scolo dei liquami di scarto direttamente nel Canale di Monselice. L’ingresso alla pescheria era da Via Zanellato. Il cortiletto in trachite sul lato nord della pescheria ospita un pozzo in pietra d’Istria ivi collocato negli anni ’60 del Novecento. Precedentemente il pozzo si trovava in Piazza Maggiore (ora Piazza Mazzini) e per un breve periodo era stato collocato sul lato ovest della Torre Civica.
Il ponte della Pescheria, sul quale si colloca l’edificio, segnava il limite dell’area del porto che si estendeva fino al ponte girevole di fronte al Campo della Fiera. Il porto di Monselice è stato attivo per molti secoli fino agli anni ’60 del Novecento. Dai barconi si caricavano e scaricavano derrate e soprattutto pietrame, in particolare la trachite, proveniente dalla cava della Rocca del Conte Vittorio Cini. Queste operazioni erano favorite da numerose scalette in pietra che, dalla sommità arginale dove sono poste le bitte, pure in trachite, scendono in acqua. L’attuale Via Argine Destro (lungo le mura medievali) sino al 1931 non aveva un titolo ufficiale ma era chiamata comunemente Via delle Pietre perché qui si accumulavano le maségne provenienti dalle cave. All’inizio di questa via, sulle mura, venne eretto un capitello con un statua di San Giovanni Nepomuceno, protettore della fraglia o traghetto dei barcaroli di Monselice che si riuniva in una cappella della Chiesa di San Paolo. Questo capitello nel 1875 venne demolito e la statua fu trasferita nella chiesa dei Carmini, ora dispersa.
L’edificio sorge ai piedi del versante meridionale del Colle della Rocca, adagiato su un sedime pianeggiante, creato artificialmente dall’uomo per consentire un più comodo sviluppo urbano che interessò fin dall’Alto Medioevo l’intero margine meridionale del colle. Recenti indagini archeologiche hanno permesso di comprendere la costante frequentazione di questi luoghi fin dall’antichità, dal periodo del bronzo fino ai nostri giorni, senza quasi discontinuità.
Stando all’informazione tramandata dal Salomonio, sul luogo dove ora sorge la Chiesa di Santo Stefano vi era un precedente luogo di culto dedicato a San Eleazzaro (Lazzaro), profanato dalle truppe di Federico II di Svevia che ne fecero luogo di riparo militare.
Secondo altre fonti la chiesa attuale sorse in stile romanico agli inizi del Trecento sotto il patronato della famiglia Paradisi Capodivacca per insediarvi l’Ordine dei Predicatori Domenicani. Documenti risalenti al 1347, 1364 e 1371 confermano l’esistenza della chiesa intitolata a Santo Stefano e l’acquisizione di terreni intorno alla chiesa da parte dei Domenicani di Padova, verosimilmente per edificarvi il convento, primo nucleo del monastero, plausibilmente esistente dopo il 1376. Fin dalla prima metà del XV secolo iniziano ad attestarsi vari lasciti ai Domenicani di Santo Stefano per la costruzione di cappelle e monumenti sepolcrali anche di personaggi di alto rango. La visita del vescovo Barozzi nel 1489 lascia a testimonianza una descrizione particolareggiata della chiesa. L’edificio era allora composto da due sole navate, quella centrale e quella orientale: la prima coperta da un tetto a capriate a vista, la seconda voltata. Oltre all’altare maggiore la chiesa aveva altri sei altari, due nella zona absidale e quattro alle pareti laterali. I documenti d’archivio dimostrano che per tutto il Cinquecento ed il secolo successivo, nella vita della chiesa e del monastero ebbero una parte di rilievo i lasciti dei laici per la costruzione di cappelle, altari monumenti sepolcrali e opere di rinnovamento. Le cappelle citate nei documenti sono intitolate a S. Michele, S. Maria, S. Lorenzo, S. Domenico di Vienna, S. Bellino, S. Giovanni. Il pavimento della chiesa era occupato da numerose lapidi sepolcrali. Alla fine del secolo, dopo un periodo di decadimento, la chiesa venne restaurata e riconsacrata. Risale a quest’epoca anche la costruzione del campanile attuale. Nel 1621 la chiesa fu interessata da molti lavori di rinnovamento. Della parte originaria rimangono solamente la parte triabsidata e la parte centrale della facciata, decorata con archetti pensili. La chiesa risulta ben officiata e gli altari sono dedicati a santi diversi rispetto al secolo precedente: S. Giovanni, Beata Vergine, S.Pietro Martire, Sacro Rosario, S. Bellino, S. Lorenzo, S. Croce.
Nel Settecento inizia la progressiva decadenza di Santo Stefano come centro religioso. Nell’anno 1772 venne soppresso il monastero che fu venduto a Giorgio Strattico, capitano delle milizie speciali della Serenissima. La chiesa continuò ad essere officiata ancora per qualche tempo dalla confraternita del SS. Rosario che aveva sostituito i Domenicani. Una visita pastorale del 1781 ci informa che la chiesa aveva bisogno della riparazione del tetto e delle vetrate e l’altare maggiore era dichiarato sospeso al culto.
Una perizia dell’ing. Guarnieri del 1809 informa che la chiesa, in gran parte in stato di abbandono e trascurata, era ormai passata al pubblico demanio.
Note d’archivio ci informano che nel 1846 appartiene ai cugini Trieste che, nel 1859, la vendono al Comune di Monselice, proprietario anche ai giorni nostri. Tra il 1915 e il 1930 era stato ipotizzato che l’edificio diventasse il nuovo Duomo di Monselice, ma il progetto non venne mai eseguito. Adibita a caserma per le truppe di passaggio e specialmente per quelle di cavalleria, successivamente divenne magazzino comunale, sede di ricovero degli automezzi dei Vigili Urbani e sede della Banda cittadina fino al fine del secolo scorso. L’altare dedicato a San Domenico, in marmo con intarsi e un bel ciborio, è stato collocato nella cripta del Duomo di San Giuseppe. Restano alcuni pregevoli affreschi alle pareti di buona mano come un volto di vescovo della seconda metà del 1300. Dopo un deplorevole abbandono, a partire dal 2017 la Chiesa di Santo Stefano è oggetto di un progetto di ristrutturazione e di destinazione a spazio culturale a servizio della città, con l’auspicio che venga ripristinato anche il passaggio pubblico che un tempo collegava via Santo Stefano superiore con il sagrato della chiesa.